Alfredo Rampi (11 aprile 1975 – 13 giugno 1981)

Alfredino

Una favola lo distrasse dalla morte

Carmelo Bene sul terzo canale della RAI cantava quattro diversi modi di morire in versi, il suo volto stralunato veniva ripreso dalle telecamere e la scenografia realizzata con la tecnica del croma-key riproduceva il buio infernale costellato da fiamme. Il sottofondo musicale formato da percussioni accompagnava l’attore nel suo Pasternak, Majakovskij, Blok…

Sugli altri due canali si cantava un modo solo di morire in diretta tv, nel buio delle viscere della terra, nascosto agli occhi delle telecamere che seguivano le operazioni di un salvataggio che si presentava lungo e difficoltoso…

11 giugno 1981: un bambino scomparso viene cercato in località Vermicino, vicino Frascati. Si era incamminato da solo verso casa nel tardo pomeriggio, ma tre ore sono trascorse e nessuno ha più notizie di lui. Non è mai arrivato. Il padre chiama la polizia alle nove di sera e una squadra di agenti comincia a perlustrare la zona con l’aiuto di unità cinofile. Un cane si aggira nei pressi di un punto, sembra attratto da qualcosa… Quel qualcosa si trova tra uno sterro e gli ulivi, tra vigneti e un sentiero in terra battuta. È un pozzo artesiano malamente ricoperto da una tavola di legno… Purtroppo la tavola è stata posta lì soltanto da poco tempo. Prima non c’era…

All’una di notte un agente del commissariato Casilino sente dei lamenti provenire dal sottosuolo, solo allora si accorge che il bambino è precipitato nel cunicolo quando ancora era aperto, privo di quella copertura improvvisata che aveva ingannato tutti. Non c’è un minuto da perdere. Scatta l’operazione di recupero.

12 giugno 1981: cellule fotoelettriche per illuminare la zona; ruspe; perforatrici; un’elettrosonda con microfono in modo da collegare la superficie con il luogo dove è finito il bambino; un’ambulanza attrezzata da centro di rianimazione mobile; le telecamere della RAI, che diventano fisse e riprendono lo svolgersi del lavoro di salvataggio.

Non mi perdo nell’elenco di tutti i tentativi che l’impietoso occhio televisivo documenta in quella notte di speranze e di sconforti, ma accenno solo all’unico, iniziato alle 23.30, che illuse milioni di italiani, quello di Angelo Licheri, l’improvvisato speleologo descritto nella sua cronaca dal giornalista Paolo Guzzanti, su La Repubblica del 13 giugno 1981:

23,20 – … Si prepara il secondo tentativo, quello dello speleologo Angelo. Fallirà anche lui. Lo accompagna Maurizio.

23,30 – Scendono. Da sotto si danno istruzioni: «Ti devi girare a pancia sotto». Si sentono rumori di ganci e metalli.

Mezzanotte – Maurizio dalla galleria trasversale grida: «Giù!». Arrivano voci concitate: «È passato… altri due metri, giù, fallo scivolare, allentare le corde… così, corda, corda, Alfredo… Arrivo…»

0,10 – Angelo scende e grida: «Stop, giù. Piano. Stop. Alfredo… Arrivo… Piano siamo a venti metri, giù… ». Gli gridano: «Angelo, non ti spremere con la voce…».

Alfredo grida – «Basta. L’ho preso. Tirate piano la corda bianca. Sì tirate, mollate la bianca, sì tirate… Mollate la bianca… Fate quello che vi dico… Comandante! Mi sente?. Stop. Mollate porca miseria! Mollate la corda. Lo sto imbragando…».

0,15 – Da sopra: «La corda rossa? Va bene? Tiro. Ancora?». Si sente respirare a fatica. «La nera?». Si capisce che ci sono enormi difficoltà. Il tentativo sta per fallire.

0,20 – Chiedono ad Angelo: «L’hai preso il bambino?». Ma Angelo non risponde. Seguita a chiedere corda. Poi dice di tirare. Poi di mollare. Sta tentando invano di legare Alfredo, ma il fango glielo impedisce. Si sente: «Digli che non viene. Tira la bianca. Piano piano. Adagio. Non date strattoni».

0,30 – Continua l’inutile manovra: la corda bianca va su e giù. Scoramento generale.

0,45 – Ha perso il bambino. Angelo è sfinito. Chiede di essere tirato su.

Angelo torna. Sta perdendo i sensi. È contuso. Ci sono difficoltà per recuperarlo. Finalmente riescono a farlo passare dal cunicolo alla galleria trasversale. Mormora che il bambino sta dove stava prima. Esce fuori. Lo applaudono. È ridotto un cencio. Sviene. Si prepara il tentativo successivo.”

Non si ricorda più quella foto che circolava ossessivamente, dimenticato quel bambino di sei anni in canottiera che sorride, rimossa istantaneamente la “messa in scena” di un dramma diventato o fatto diventare collettivo, peraltro senza riuscirci.

Se chiedo oggi cosa successe il 12 giugno 1981 rischio di non sentire neppure una risposta. Eppure non s’è trattato di un avvenimento di scarso interesse mediatico, all’epoca gli italiani tutti, o quasi, erano informati, alcuni addirittura passarono insonni la notte davanti allo schermo televisivo a sperare, a vedere se da un momento all’altro il protagonista della trasmissione si mostrava. Già, ho detto vedere, dato che il primo attore dell’evento, Alfredo Rampi, il bambino in canottiera, era “fuori scena”, caduto il giorno prima in un pozzo artesiano e lì rimasto intrappolato a più di trenta metri sotto il suolo.

L’etica non dice granché in questi casi, la morale balbetta, ma la domanda va posta: come mai scende l’oblio e i telespettatori, attoniti, “spengono” nelle loro menti la notte di venerdì 12 giugno 1981, notte passata in bianco nell’attesa dell’estrazione di un corpo? Che avvenimento è stato mai questo da “incitare” milioni di persone coinvolte emotivamente a rimuovere subito emozioni così profonde, o presunte tali? Trascorsi i giorni di fibrillazione, tra opinioni, critiche, soluzioni che ognuno offriva al posto di quelle messe in atto dalla Protezione Civile, calò il silenzio. Di Alfredo Rampi non se ne seppe più niente. Tutti erano a conoscenza della sua morte senza averla vista. Era già sepolto prima ancora di smettere di respirare, e la sua immagine sparì dai teleschermi, dalle pagine dei giornali.

La notizia del rinvenimento del cadavere del bambino fu pubblicata il 12 luglio 1981:

È finito l’incubo di Vermicino. Alfredo Rampi è stato trovato a 60 metri di profondità, piegato su se stesso, con la mano destra incastrata dietro la nuca, dopo trentuno lunghissimi giorni. L’hanno tirato su avvolto in un sacco di celophan, rattrappito, sporco di fango. Subito dopo l’hanno trasportato a pochi metri di distanza, lo hanno adagiato dentro un contenitore pieno di ghiaccio secco, all’interno del furgone mortuario. Poi scortato da due volanti della polizia, la corsa verso Roma, all’Istituto di medicina legale.

Così iniziava l’articolo del giornalista Daniele Mastrogiacomo su La Repubblica, brano dove venivano descritte con meticolosità le operazioni del recupero della salma, rese difficili dal blocco di ghiaccio che l’azoto liquido immesso precedentemente nel pozzo aveva creato.

Da quel giorno in poi la memoria pubblica seguì le sue regole ciniche: finché lo spettacolo insolito, curioso, affascinante, è durato, soprattutto nell’arco di quella notte infernale, non fu possibile, non si doveva, pensare ad altro e guardare altro, per esempio Carmelo Bene sul terzo canale RAI; quando riemerse quasi esanime dal pozzo, a mani vuote e tutto sporco, Angelo Licheri, il fattorino sardo che si offrì volontario per salvare Alfredino, cominciò la smobilitazione. L’ultimo tentativo era andato fallito.

Non eravamo ancora nell’era dell’audience a ogni costo? Allora, chi ha avuto l’esigenza di piazzare le telecamere e di realizzare una non stop televisiva di diciotto ore? Quale logica sta dietro la scelta di rivoluzionare i programmi per proporre le immagini che poi sarebbero state archiviate come un esperimento di trasmissione tv, un reality show sulla morte?

Nel 1983 Umberto Eco in Sette anni di desiderio scrisse:

Dunque la TV non mostra più eventi, e cioè fatti che avvengono per conto proprio, indipendentemente dalla TV, e che avverrebbero anche se la TV non esistesse?

Sempre meno. Certo, a Vermicino un bambino è caduto davvero nel buco, ed è vero che vi è morto. Ma tutto quello che si è svolto tra l’inizio dell’incidente e la morte è avvenuto come è avvenuto perché c’era la televisione. L’evento, catturato televisivamente al proprio nascere, è diventato messa in scena.”[1]

Si può intavolare un discorso sulla messa in scena, sulla rappresentazione del reale o del verosimile, o dell’invenzione che suscita percezioni assolute, e così si accennerebbe all’attrazione che da sempre esercita la simpatia verso l’irreparabile, la rovina, il dolore, l’orrore. Una moltitudine di persone si lascia dominare da un’incosciente rapimento, o, per meglio dire, una traduzione a nervi scoperti della pulsione di morte. Si desidera assistere alla salvezza ma contemporaneamente non offende il sentimento della possibile perdita. Ci si perde. Scorre sul video la litania affannosa dei soccorritori, la visita del presidente della Repubblica, la curiosità della massa che vuole esserci, e non importa se viene intralciata con la propria presenza inopportuna il lavoro, gli sforzi di chi è chiamato a estrarre, vivo o morto, il bambino caduto nel pozzo.

Trasmettere immagini di morte non educa più, non contribuisce a formare l’idea chiara e distinta della fine. È ormai impossibile. Ma lo è mai stato? Può darsi, ma non ne siamo certi. La storia non ci aiuta, le teorie non ci aiutano con ipotesi tutte da verificare. Intanto, fissi come monumenti dell’anonimato impotente, i telespettatori non elaborano una visione dell’orrore, forse sono elaborati da lei, solo in superficie, e perdono nell’intimo ogni riferimento etico, se mai ve ne sia stato uno. Come il popolo che protestava ai tempi delle Sacre rappresentazioni, perché lo spettacolo del martirio simulato era poco cruento, così il pubblico odierno pretende l’esplicito senza significato ammantandolo di pie giustificazioni. Ieri la morbosità per gli avvenimenti di Vermicino, adesso la delusione di un giornalista tv, rappresentante della massa, che vorrebbe mandare in onda le immagini dell’esecuzione dell’ostaggio italiano in Iraq ritenendole un contributo oggettivo alla notizia. Povero illuso! Ha dimenticato che nelle altre oscene notti del gennaio 1991 qualcuno attendeva questi “contributi” giornalistici, magari approfittandone per farsi una spaghettata con gli amici tra un bombardamento e l’altro di Baghdad. Ha dimenticato che cittadini sono stati allevati per confondere una sparatoria di un film con una realmente accaduta, che il cosiddetto bagno di sangue è stato omologato dallo schermo e la sua sovraesposizione desta un interesse pari alla famosa “morte del passero” citata da Amleto. Qui però non c’è la Divina Provvidenza, nel senso che non viene avvertita. I fatti del mondo sono simulacro, e basta, almeno che non si sia coinvolti personalmente in questi fatti. L’evento sparisce in mezzo al caos e non c’è televisione che lo possa illustrare, poiché la televisione può solo partecipare all’entropia e aumentarla.

Nel 1981 la scelta della diretta tv fu primitiva, come primitivo fu il finto rapimento di un bambino nella finta tragedia televisiva del 1954 I figli di Medea, che vide protagonisti gli attori Enrico Maria Salerno e Alida Valli. Primitivo in questo caso significa quasi innocente, ingenuo. Non scorgo ancora la volontà sadica di confezionare la messa in scena, però l’esito è sadico, di un sadismo più pericoloso perché appunto desolatamente inconsapevole. Forse era credibile la buona fede di chi nel 1981 decise la trasmissione della disgrazia, magari nella speranza che questo servizio civile d’informazione aiutasse il bisognoso a ricevere il soccorso. Oggi, nel XXI secolo, il meccanismo del gioco è noto.

Dunque la tv, come si chiedeva Eco, non mostra più eventi? Non li ha mai mostrati, li ha solo riprodotti, e nella sua riproduzione fa come il tritacarne che trasforma un pezzo di manzo in macinato. Non si può risalire alla forma originale se per documentare la verità di un evento lo si deve preparare, allestire di nuovo, metterlo in scena.

Alfredo Rampi è effettivamente caduto nel pozzo, però di lui abbiamo soltanto il ricordo della foto, la registrazione della sua voce che un’elettrosonda con microfono ha captato e portato in superficie. È tutto vero, talmente vero che, una volta archiviato, l’unico testimone concreto dell’esistenza di una persona sono io, in questo momento, che mi accingo a raccontare questa storia quasi fosse una leggenda.

Le leggende appartengono alla fase orale della trasmissione dei dati, ma tra i fatti narrati e trasformati dai vari passaggi del codice linguistico e l’attuale presunta verità dell’evento non corre molta differenza. Il codice linguistico attuale, come l’antico, non traduce simultaneamente l’evento, perché si lascia influenzare dalla componente psicologica. Basta l’intonazione di una parola per tradire l’oggettività e inquinarla irreparabilmente. Il secondo tradimento, il peggiore, è quello della tecnica che riproduce e allontana chiunque dal contesto autentico dell’evento. E a Vermicino l’evento non è mai stato mostrato. In mezzo c’era il set televisivo, c’era il pubblico, dall’altra parte il telespettatore che credeva a ciò che stava osservando solo per un atto di fede. La tv non è verità. La tv si limita a trasmettere con i suoi mezzi e tutto è rinvenuto e re-inventato. Una morte può essere l’oggetto di una diretta televisiva, di una pellicola cinematografica, di uno sceneggiato, di un filmato di repertorio, e non è la stessa per tutti.

Resta un solo dolce ricordo, la favola che il vigile Nando Broglio raccontò a Alfredo per tranquillizzarlo. Il bambino era spaventato dal rumore della scavatrice e dalle scosse che lo avvolgevano sottoterra. Per non farlo piangere Nando Broglio aveva detto al piccolo che stava arrivando Mazinga per liberarlo…

© Marco Vignolo Gargini


[1] Umberto Eco, Sette anni di desiderio, TV: la trasparenza perduta, Bompiani 1983.

Informazioni su Marco Vignolo Gargini

Marco Vignolo Gargini, nato a Lucca il 4 luglio 1964, laureato in Filosofia (indirizzo estetico) presso l’Università degli Studi di Pisa. Lavora dal 1986 in qualità di attore e regista in rappresentazioni di vario genere: teatro, spettacoli multimediali, opere radiofoniche, letture in pubblico. Consulente filosofico e operatore culturale, ha scritto numerose opere di narrativa tra cui i romanzi "Bela Lugosi è morto", Fazi editore 2000 e "Il sorriso di Atlantide", Prospettiva editrice 2003, i saggi "Oscar Wilde – Il critico artista", Prospettiva editrice 2007 e "Calciodangolo", Prospettiva editrice 2013, nel 2014 ha pubblicato insieme ad Andrea Giannasi "La Guerra a Lucca. 8 settembre 1943 - 5 settembre 1944", per i tipi di Tra le righe libri, nel 2016 è uscito il suo "Paragrafo 175- La memoria corta del 27 gennaio", per i tipi di Tra le righe libri; è traduttore di oltre una trentina di testi da autori come Poe, Rimbaud, Shakespeare, Wilde. Nel 2005 il suo articolo "Le poète de sept ans" è stato incluso nel 2° numero interamente dedicato a Arthur Rimbaud sulla rivista Cahiers de littérature française, nata dalla collaborazione tra il Centre de recherche sur la littérature français du XIX siècle della Università della Sorbona di Parigi e l’Università di Bergamo. È stato Presidente dell’Associazione Culturale “Cesare Viviani” di Lucca. Molte sue opere sono presenti sul sito www.romanzieri.com. Il suo blog è https://marteau7927.wordpress.com/ ****************** Marco Vignolo Gargini, born in Lucca July 4, 1964, with a degree in Philosophy (Aesthetic) at the University of Pisa. He works since 1986 as an actor and director in representations of various kinds: theater, multimedia shows, radio plays, readings in public. Philosophical counselor and cultural worker, has written numerous works of fiction, including the novels "Bela Lugosi è morto", Fazi Editore 2000 and "Il sorriso di Atlantide," Prospettiva editrice 2003, essays "Oscar Wilde - Il critico artista," Prospettiva editrice in 2007 and "Calciodangolo" Prospettiva editrice in 2013, in 2014 he published together with Andrea Giannasi "La guerra a Lucca. September 8, 1943 - September 5, 1944," for the types of Tra le righe libri, in 2016 he published "Paragrafo 175 - La memoria corta del 27 gennaio", for the types of Tra le righe libri; He's translator of more than thirty texts by authors such as Poe, Rimbaud, Shakespeare, Wilde. In 2005 his article "The poète de sept ans" was included in the 2nd issue entirely dedicated to Arthur Rimbaud in the journal "Cahiers de littérature française II", a collaboration between the Centre de recherche sur la littérature français du XIX siècle the Sorbonne University Paris and the University of Bergamo. He was President of the Cultural Association "Cesare Viviani" of Lucca. Many of his works are on the site www.romanzieri.com. His blog is https://marteau7927.wordpress.com/
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10 risposte a Alfredo Rampi (11 aprile 1975 – 13 giugno 1981)

  1. Roberto M. ha detto:

    …Se chiedo oggi cosa successe il 12 giugno 1981 rischio di non sentire neppure una risposta. Eppure non s’è trattato di un avvenimento di scarso interesse mediatico…

    Credo piuttosto che nessuno in Italia si sia dimenticato di questa vicenda. E’ entrata a far parte della nostra memoria collettiva. Ci provi davvero a chidere un po’ in giro.

  2. rosanna ha detto:

    non mi sono dimenticata affatto di tutta la vicenda io avevo 18 anni e ho seguito di continuo per tutto il periodo la vicenda, cosa che nn ho mai saputo il seguito sulle responsabilita del caso

  3. Ebbene, sono ben lieto d’esser stato smentito dalle tantissime testimonianze che mi sono arrivate a seguito del mio post. Ho trovato invece tante risposte e persone che ricordavano molto bene quanto accadde trent’anni fa… però, va detta una cosa, nei giorni scorsi questa vicenda è tornata d’attualità perché c’era l’anniversario e anche il libro di Veltroni, invitato qua e là in televisione… passata questa fase, credo che resteranno quelle persone che serbano ancora nella propria memoria le immagini terribili riproposte l’altro giorno da Minoli ne “La Storia siamo noi”… vi confesso che a rivederle ho riprovato le stesse emozioni dell’epoca…
    Grazie comunque a tutti per il vostro interesse.
    Marco Vignolo Gargini

  4. Chiara ha detto:

    nessuno potrà mai dimenticare alfredino..la sua storia commosse l’Italia e penso rimarrà nel cuore di tutti coloro che seguirono la sua triste vicenda. Riposa in pace piccolo. Chiara

  5. fla ha detto:

    impossibile dimenticare, Alfredino rimarrà sempre nel mio cuore.

  6. lina c. ha detto:

    io avevo dieci anni e la mia maestra piangeva in classe..non ho dimenticato alfredino

  7. dario ha detto:

    oggi alfredo avrebbe la mia eta’, ricordo anch’io quei giorni ma ricordo soprattutto le lacrime di mia madre…non posso e non voglio dimenticarlo!!!!riposa in pace piccolo angelo!!!! Dario

  8. Fiorella ha detto:

    Non so per quale motivo questa notte l’ho sognato !!!!!
    Quanto ho sperato che si salvasse e che tristezza quando invece non ce l’ha fatta !!!!
    Un Angelo che è volato in cielo.
    Proteggici tu ora da lassù
    Fiorella

  9. Emiliano ha detto:

    Ho 33 anni, qualche giorno dopo la sua morte venni al mondo.
    Ho rivisto i filmati e la sua voce in fondo al pozzo mi ha gelato l’anima, sono passato davanti al pozzo dove morì e non ne rimane che terra e sterpaglia ma sono convinto che nessuno l’ha mai dimenticato!
    Oggi andrò a portargli un fiore al Verano.

    Ciao Alfrè….non ti dimenticheremo mai!

  10. stefano ha detto:

    Io ricordo benissimo essendo vecchio la vicenda del povero Alfredino l’improvvisazione e impreparazione dovuta probabilmente al fatto che il caso non era mai capitato. All .epoca avevamo scavato un pozzo romano che feci coprire con un coperchio in cemento armato con una botola larga appena 15 cm,il tutto perchè mio figlio aveva solo 2 anni e quindi avevo il terrore che potesse accadere qualcosa.
    Comunque la cosa che ancora mi commuove è il disegno credo di Forattini non ricordo se sul Messaggero o sulla Repubblica in cui si vede Mazinga inginocchiato vicino al pozzo che piange

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